"I milanesi sicuramente non consegneranno la città agli estremisti, non permetteranno di trasformare Milano in una città islamica, in una zingaropoli piena di campi rom".
Per i pochi che venerdì sera non avessero visto né il Tg1, né il Tg2, né il Tg5, né il Tg4, né Studio Aperto, questo è il succo del messaggio ("intervista" è concetto di ben altra dignità rispetto a quello spottone) con cui Belrusconi ha esondato praticamente a reti unificate.
Un lessico da Bossi qualsiasi, in salsa vagamente orwelliana, personalizzato con qualche riferimento ulteriore ai centri sociali, alle bandiere rosse, ai comitati del no e spauracchi assortiti. Più alcuni latinorum e tecnicismi sparsi distrattamente qua e là, tipo "l'autocostruzione delle baracche", come si fosse visto mai qualcuno che costruisce baracche per conto terzi.
La solita evocazione della paura, insomma, a beneficio dei buoni moderati milanesi che al primo turno avessero dimenticato di deporre nell'urna la scheda con la x sul simbolo pidiellino. Complessivamente, un'immagine che all'improvviso appare in tutto il suo vecchiume, che mostra la corda tutta in un colpo, che pare lontana anni luce dalle analisi e dai messaggi del primo turno. Anche perché probabilmente chi vota con la paura di zingari, black block, nègher, drogati e culattoni, ha già votato Moratti una settimana fa.
Il tutto, con buona pace di chi pensava, credeva, prometteva, sperava, prevedeva, auspicava, preconizzava che la campagna milanese per il ballottaggio avrebbe visto un abbassamento dei toni e sarebbe stata puntata su quanto di buono fatto dalla Moratti negli ultimi cinque anni.
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